Lettera a San Giuseppe

Manca ormai pochissimo a Natale… Se ancora non l’abbiamo fatto prendiamoci un momento di tranquillitA� e leggiamo questo bel testo di mons. Tonino Bello: una lettera indirizzata a Giuseppe, l’umile falegname sposo di Maria che accetta l’irruzione di Dio nella sua vita con fede e con amore. Buona lettura!

Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalitA� e mi fermo per una mezza��oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Non voglio farti perdere tempo. Vedo che ne hai cosA� poco, e la mole di lavoro ti sovrasta. PerciA?, tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze. Non preoccuparti neppure di rispondermi. So, del resto che sei la��uomo del silenzio.Vedi, Giuseppe, un tempo anche da noi le botteghe degli artigiani erano il ritrovo feriale degli umili, vi si parlava di tutto, di affari, di donne, di amori, delle stagioni, della vita, della morte. Il tempo passava cosA� lento, ma forse era proprio questa lusinga di eternitA� a rendere preziosa una��opera di artigianato. Le cose nascevano perciA? lentamente e con i tratti di una fisionomia irripetibile. Oggi purtroppo qui da noi di botteghe artigiane ne sono rimaste veramente poche. Al loro posto sono subentrate le grandi aziende di consumo: non si genera piA?, o meglio si concepisce solo la��archetipo, ma senza passione e con molto calcolo. Ed eccoli lA�, allineati, questi elegantissimi mostriciattoli dalla vita breve, belli, ma senza��anima, perfetti, ma senza identitA�, lucidi, ma indistinti. Non parlano perchA� non sono frutto di amore, non vibrano, perchA� nelle loro vene non ci sono piA? i fremiti del tempo prigioniero. Questo A? forse il sacrilegio piA? grave della nostra civiltA�. La distruzione del tempo, e col tempo della��amore, della fantasia, della bellezza, della��arte. Abbiamo creduto che per fare un tavolo sia sufficiente il legno! Oh Dio! Riusciamo pure ad ammettere che per fare il legno ci vuole la��albero, e che per fare la��albero ci vuole il seme. E perfino che per fare il seme ci vuole il fiore. Ma non abbiamo piA? il coraggio di concludere che per fare un tavolo ci vuole un fiore! E lo lasciamo dire solo ai poeti! Ma se oggi qui da noi di botteghe artigiane A? rimasto solo qualche nostalgico scampolo, non A? tanto perchA� non si genera piA?, quanto perchA� ormai non si ripara piA? nulla. Da noi non si usa piA?! Quando un oggetto si A? anche leggermente incrinato nella sua funzionalitA�, lo si mette da parte senza appello. La nostra la chiamiamo perciA? la civiltA� della��usa e getta! Al televisore che sta in cucina si A? fulminato un relA?, niente paura! Viene messo da parte e sostituito con un altro che ha il video registratore incorporato. Al soprabito di velluto si A? scucita la fodera? A un paio di sandali si A? staccata la fibbia? Non vale la spesa ripararli! Porta via al macero, senza scrupoli.

Ma se oggi qui da noi le botteghe artigiane sono pressochA� sparite non A? solo perchA� non si genera piA? e neppure perchA� non si ripara piA? nulla. A? perchA� non ca��A? piA? tempo per la carezza. Vedi Giuseppe, da quando sono entrato nella tua bottega, quante carezze non hai fatto su quel legno denudato dalla pialla! Tutte le volte che la��hai strisciato con il ferro, subito vi sei passato sopra con la mano, leggera come per compensare con un gesto di tenerezza il trauma della violenza. E anche ora, mentre ti parlo, passi e ripassi con le dita sugli spigoli smussati dallo scalpello. Quante carezze: con le palme della mano, con i pennelli, con le spatole, con gli occhi. SA�, anche con gli occhi, perchA�, ora che hai finito una culla, sei tu che non ti stanchi di cullarla con lo sguardo. Oggi purtroppo da noi, non si carezza piA?, si consuma solo, anzi si concupisce. Le mani incapaci di dono, sono divenute artigli, gli occhi prosciugati di lacrime ed inabili alla contemplazione, si sono fatti rapaci, il dogma della��usa e getta A? divenuto il cardine di un cinico sistema. PerciA? si violenta tutto! E non soltanto le cose Ma anche le persone! Il corpo, degradato a merce di scambio, A? divenuto spazio pubblicitario e manichino per prodotti di consumo! La��eros mercantile corrode alla radice i rapporti interumani, sgretola la comunione, frantuma la��intimitA�, irride la famiglia, commercializza la donna. E con i postulati di marketing degli spot televisivi, spersonalizza irrimediabilmente la sessualitA�, riducendola ad una variabile della cupidigia di potere.

Vedo, perA? che si fa tardi. Il sole, calando sulla pianura di Esdrelon, illumina di porpora gli ultimi contrafforti dei monti di Galilea. E io ancora non ti ho detto la ragione fondamentale per la quale sono venuto qui da te.

No, non A? per affliggerti con le lamentazioni mistiche sulla cattiveria dei tempi, e neppure per evitare gli incroci pericolosi della mia civiltA�, che ho trovato rifugio sentimentale nella��oasi della tua bottega, dove, tra tenaglie, lime e seghetti, attaccati in bella mostra alle pareti, sono rimasti attaccati anche i ricordi del tempo che fu; anzi, se ti ho dato questa��impressione di fuga alla��indietro non giudicarmi un introverso pure tu, vittima magari di un raptus da regressione; bastano giA� gli psicanalisti che abbiamo da noi, di fronte ai quali devi difenderti dai tuoi stessi sentimenti, se non vuoi finire nella morsa della loro logica, impietosa, almeno quanto la morsa che sta sul tuo bancone di falegname!

Mio caro San Giuseppe, io sono venuto qui, soprattutto per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di GesA?, e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la vita.

E ti dico subito che la formula di condivisione espressa da te, come marito di una vergine, la trama di gratuitA� realizzata come padre del Cristo, e lo stile di servizio messo in atto come responsabileA� della tua casa, mi hanno da sempre cosA� incuriosito, che ora non solo vorrei saperne qualcosa di piA?, ma mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali siano trasferibili nella nostra societA� della��usa e getta.

Dimmi, Giuseppe, quanda��A? che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con la��anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso?

O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte, sotto la��arco della sinagoga?

O forse un meriggio da��estate, in un campo di grano, mentre abbassando gli occhi splendidi, per non rivelare il pudore della povertA�, si adattava alla��umiliante mestiere di spigolatrice?

Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi?

E la notte tu hai intriso il cuscino con lacrime di felicitA�.

E la tua amica, la tua bella si A? alzata davvero, A? venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lA�, sotto le stelle, un grande segreto.

Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di JahvA�. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto piA? grande della��universo e piA? alto del firmamento che vi sovrastava.

Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre.

Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: a�?Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purchA� mi faccia stare con tea�?. Lei ti rispose di sA�, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente.

Penso che hai avuto piA? coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sulla��onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilitA� di una creatura. Lei ha avuto piA? fede, ma tu hai avuto piA? speranza. La caritA� ha fatto il resto in te e in lei.

Ma ora Giuseppe, cambiamo discorso! Sta arrivando una donna dal forno. Ecco, ti ha portato del pane, e la bottega si A? subito riempita di fragranza. Si direbbe che il pane, piA? che per nutrire, A? nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio!

E’ proprio vero, Giuseppe. Il pane A? il sacramento piA? giusto del tuo vincolo con Maria. Lei morde ogni giorno quello di frumento, procuratole da te col sudore della fronte. Tu mordi il pane del tuo destino che la��ha resa Madre del Figlio di Dio.

E’ per questo che per noi, o falegname di Nazareth, tu sei provocatore di condivisioni generose e assurde, appassionate e temerarie, al centro della sapienza e al limite della follia. Insegnaci, allora, a condividere il pane con i fratelli poveri, in questo nostro mondo, dove purtroppo muoiono ancora piA? di cinquanta milioni di persone per fame.

Eppure il pane da segno di comunione, si A? trasformato in simbolo della scomunica, ed A? divenuto il discrimine sul cui filo passa la logica della guerra: viene accaparrato dagli ingordi, non condiviso dai poveri, ammuffisce nelle credenze degli avidi, non si distribuisce sulle bocche di tutti! Sovrabbonda nei bidoni della spazzatura da��Europa, ma A? sparito sulle mense desolate della��Eritrea. Trabocca senza pudore negli opulenti cenoni del Nord, ma A? sogno proibito per tutti i Sud della Terra!

Hai sentito mai dire, Giuseppe, che se i ghiacciai eterni della��Ermon, si sciogliessero da��incanto, le acque sprofonderebbero a valle con poderose tracimazioni, il lago di Tiberiade diventerebbe un mare, il giordano strariperebbe, rompendo gli argini, e la��arsura della��intera Palestina, verrebbe per sempre placata!

E allora! Visto che presso la��Altissimo, ce ne sono poco di santi cosA� referenziati come te, perchA� non provochi un fenomeno simile, scongelando le ricchezze dalle mani di pochi e travolgendo la terra in un cataclisma di pane. E se questo ti sembra un miracolo troppo grosso per i tuoi mezzi, perchA� almeno non persuadi la Chiesa del Duemila a farsi carico con piA? fiducia della sorte degli ultimi, non solo spartendo le sue ricchezze con i poveri, ma soprattutto condividendo la miseria degli esclusi.

Oggi piA? che mai vogliamo sperimentarti cosA�, quale Protector Sancte Ecclesiae, Protettore della chiesa dei derelitti, degli emarginati, dei violentati, dei palestinesi, dei marocchini, dei terzomondiali, degli sfrattati, degli sfruttati, dei prigionieri, e degli inquilini di tutte le piA? squallide periferie della��umanitA�.

Capisco che se non mi rispondi non A? solo perchA� tu sei la��uomo del silenzio, ma anche perchA� la fornaia si A? attardata nella tua bottega. Poi si A? curvata, ha steso il mantello per terra e la��ha riempito di trucioli e di segatura, di ritagli e di assicelle. Ogni sera, cosA�, lei fa il carico per accendere il forno e a te rimane il pavimento pulito e un pane di granturco per la cena.

Silenzio Giuseppe, un carro si A? fermato alla tua porta. Entra un uomo, molto stanco, e poggia sul bancone un piccolo otre di vino, e dice: a�?Ti ho portato un poa�� di vino. A? di quello buono. Bevilo Giuseppe, alla mia salute con la tua sposa. So che aspettate un figlioa�?. Beh, stasera il Signore vuole mostrarsi particolarmente generoso anche con me, perchA� mi ha messo sotto gli occhi un altro simbolo, quello della gratuitA� e della festa. Dopo il pane della fornaia, ecco il vino del carrettiere, il vino che rallegra il cuore della��uomo. Ci vuole infatti un bel coraggio a dire che il vino A? segno di gratuitA� e di festa, quando per noi A? divenuto la��emblema drammatico della��evasione e della fuga, che accomuna i tossici agli alcolisti, gli ultras ai barboni! Ma perchA� mai il vino si A? pervertito in idolo fascinoso per chi getta le armi e rinuncia ad una��esistenza troppo faticosa da vivere? Il motivo ca��A?: abbiamo smarrito la��ebbrezza della gratuitA� e ca��A? rimasta solo la��ebbrezza della��alcool! SicchA� in un mondo regolato dai petroldollari, angosciato dai crolli di Wall Street, che si infischia dei debiti dei popoli in via di sviluppo, che A? sordo alle esigenze di un nuovo ordine economico internazionale.

In un mondo del genere, come puA? esplodere la gioia? Ci si lascia vivere! Ci si appiattisce in una��esistenza che scorre senza piA? stupore, senza spessore, come le immagini sul video. E noi compiamo le nostre scelte come se spingessimo i tasti di un telecomando. Crediamo di scegliere e invece siamo scelti! Si muore per anemia cronica di gioia, si moltiplicano le feste, ma manca la Festa!

Se non ti dispiace, versa un poco di quel vino, in quel boccale di creta, me lo voglio portare come ricordo di questa��incontro, e anche di quella��acqua che sgocciola ancora sul pavimento, dammene un poco! Non A? acqua inquinata quella! Le piogge acide, le discariche industriali e gli additivi chimici la��hanno ancora preservata, lasciandola come simbolo di purezza e di armonia ecologica. Dammi della tua acqua, la quale A? molto utile, et humile, et pretiosa et casta.

E visto che ci siamo, dammi anche di quel pane! No, non tutto! Spezzamelo Giuseppe! Condividilo con me! Un giorno anche tuo figlio lo spezzerA� prima di morire, e la speranza traboccherA� sulla terra. La��acqua, il vino, il pane: la trilogia di una��esistenza ridotta alla��essenziale! Li porterA? con me, nella bisaccia del pellegrino. Mi serviranno tanto, sulla mia strada di viandante un poa�� stanco. E serviranno tanto anche alla mia Chiesa, anzi quando mi chiederA� qualcosa, spero di non aver nulla��altro da darle che questo: nA� denaro, nA� prestigio, nA� potere, ma solo acqua, vino e pane!

Si A? fatto tardi, Giuseppe. Nella piazza non ca��A? piA? nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo a�?ShemA� Israela�?. E tra poco Nazareth si addormenterA� sotto la luna. Di lA�, vicino al fuoco, la cena A? pronta. Cena di povera gente. La��acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi. E poi ca��A? Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che ancha��io le voglio bene. Da morire! Buona notte, Giuseppe!

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