Giugno
04
2010
Cristiani in Turchia: ucciso mons. Padovese
a�?E’ orribilea�?, un a�?fatto orribilea�?, a�?incredibilea�?, a�?siamo costernatia�?. CosA� padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha commentato a caldo la notizia della��uccisione in Turchia di monsignor Luigi Padovese. Dalle notizie giunte risulta che monsignor Luigi Padovese, Vicario apostolico dell’Anatolia e presidente della Conferenza Episcopale Turca, sia stato aggredito nella sua casa a Iskenderun e ucciso a coltellate dal suo autista Murat Altun, giA� arrestato dalla polizia e in cura per disturbi psichici.
Di mons. Padovese vogliamo riportare il testo di una sua conferenza tenuta a Venezia nel 2009 sul tema della testimonianza cristiana in Turchia. Egli stesso fa riferimento a don Andrea Santoro, altro sacerdote ucciso nel 2006 in Turchia, di cui aveva celebrato le esequie.
Eminenza, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la��invito a questo incontro sul senso della��essere testimoni di Cristo nella nostra societA� al termine del vostro cammino di riflessione su questo tema.
In questo particolare momento storico di Europa a molti cristiani, presumibilmente per una concezione individuale e intimistica di religione sulla quale si dovrebbe riflettere e nella quale la si vorrebbe relegare, risulta difficile confessare a parole la loro fede. Va��A? un diffuso timore nel trattare temi religiosi e manca il coraggio di affermare sia in pubblico che in privato la propria fede, spesso per scarsa formazione. Il che ci ricorda come sia necessaria una nuova grammatica della fede che significa anzitutto chiarire a se stessi perchA� e come essere cristiani, e poi chiarirlo e mostrarlo a chi non lo A?. Penso che anche alla nostra realtA� italiana si possa applicare quanto scriveva tempo fa il vescovo di Erfurt in Germania: a�?Alla nostra chiesa cattolica (in Germania) manca qualcosa. Non A? il denaro. Non sono i credenti. Alla nostra Chiesa cattolica (in Germania) manca la convinzione di poter guadagnare nuovi cristiani… e quando si parla di missione va��A? la��idea che essa sia qualcosa per la��Africa o la��Asia, ma non per Amburgo, Monaco, Lipsia o Berlinoa�?.
Particolarmente oggi, in epoca di pluralismo, va ravvivata la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede la��annuncio, anzi A? il primo annuncio. Ea�� sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nella��incontro di uomini che vivono da cristiani convinti. Ci conforta in questa convinzione il metodo missionario che Francesco da��Assisi consigliava ai suoi frati a�?che non facciano liti e dispute…e confessino da��essere cristiania�?.
A? in sintonia con questo modo di sentire quanto leggiamo nella��Evangelii nuntiandi dove si parla della testimonianza senza parole che suscita domande in quanti vedono. GiA� questa – leggiamo – a�?A? una proclamazione silenziosa ma molto forte ed efficace della buona novellaa�� un gesto iniziale di evangelizzazionea�?.
Questo modo di essere testimoni silenziosi A? stato quello scelto da don Andrea Santoro, il mio sacerdote ucciso il 5 febbraio 2006 a Trebisonda. Quando la mattina successiva alla��assassinio mi sono recato alla��obitorio per vedere il cadavere, la prima impressione, del tutto spontanea, A? stata la somiglianza tra il corpo nudo di don Andrea con il capo riverso e il segno del foro al fianco e la��immagine di Cristo morto del Mantegna. Non abbiamo mai saputo che cosa ha indotto il giovane assassino a questo atto di violenza. Dal processo A? emersa la sua colpevolezza, ma delle connessioni, delle influenze, del clima di odio che ha determinato la��assassinio nulla sappiamo e, credo, non lo sapremo mai.
Don Andrea era venuto in Turchia affascinato da questa terra, dal suo passato, dal desiderio di essere un ponte tra islam e cristianesimo, ma pure tra Oriente ed Occidente. La piccola rivista che aveva creato con amici di Roma portava il titolo a�?Finestra sulla��Orientea�?. Ora questa finestra – grazie al suo martirio – sa��A? spalancata, e attraverso di essa la nostra situazione, prima conosciuta a pochi, ora A? divenuta nota a molti. Con il sacrificio della sua vita don Andrea ha fatto veramente da ponte attraverso una testimonianza fatta di non molte parole, ma di una vita semplice, vissuta con fede.
Nella��email che ma��ha inviato il 1A� ottobre 2005, scriveva: a�?Abbiamo ripreso la nostra vita regolare, fatta di studio, di preghiera, di accoglienza, di cura del piccolo gregge, di apertura al mondo che ci circonda, di tessitura di piccoli legami, a volte facili, a volte difficili. Il Signore A? la nostra fiducia, nonostante i nostri limiti e la nostra piccolezza. Io sono qui finchA� mi pare di poter essere utile e finchA� le circostanze lo consentono. Il Signore mostrerA� le sue viea�?. Tre mesi dopo questa sua testimonianza, fatta nel piccolo, A? emersa agli occhi di tutta la Chiesa mettendo in luce la nostra realtA� cristiana di Turchia. Veramente si tratta ormai di ben poca cosa. Uno sguardo alla recente storia porta a riconoscere che parecchi cristiani tra quel 20% che agli inizi del a�?900 costituivano la popolazione totale, a motivo delle discriminazioni e vessazioni sperimentate, hanno scelto – almeno formalmente – di rinunciare alla loro fede omologandosi ai musulmani, almeno sui documenti ufficiali. Altri – assai pochi e perlopiA? al sud del paese o nei grandi centri – hanno mantenuto la propria identitA�, ma a volte senza un reale approfondimento.
La��hanno conservata nel rispetto della tradizione come si conserva in casa un quadro antico di cui non si apprezza il valore. Lo si tiene perchA� fa parte della��arredamento della casa, ma senza dargli il giusto rilievo, facendone una ragione di vita. Da��altra parte, la situazione da��emarginazione in cui i cristiani sono stati isolati, la loro diminuzione numerica, la scarsitA� del clero e la��impossibilitA� di formare nuove leve, la totale scomparsa della vita monastica, hanno portato il cristianesimo ad un vistoso ridimensionamento e a perdita di visibilitA�.
Ultimamente proprio le tragiche morti di don Andrea, del giornalista armeno Hrant Dink, dei tre missionari protestanti di Malatia come altri episodi registrati dalla stampa locale e internazionale, hanno portato alla ribalta la realtA� di un cristianesimo che in Turchia esiste ancora e reclama pieno diritto di cittadinanza volendo uscire dalla��anonimato in cui A? stato relegato. In questo impegno ha un suo peso, alla��interno del paese, la��affermarsi di un islam tollerante rispetto alle religioni non islamiche. La stessa potente spinta che viene dalla��Europa non A? priva di effetti per le comunitA� cristiane di Turchia. Vorrei qui accennare alla��interesse mostrato dalle autoritA� per le celebrazioni a Tarso della��anno paolino. Eppure anche a questo riguardo la richiesta rivolta da piA? parti al governo turco di poter utilizzare la Chiesa/museo di Tarso, precedentemente confiscata dallo Stato, come luogo permanente di culto sta ancora attendendo una risposta. Se, come mi auguro, ci verrA� concessa questa Chiesa, sarA� per me il segnale che la Turchia non soltanto a parole, ma anche nei fatti, si sta aprendo ad un clima di libertA� religiosa.
Non va comunque dimenticato che questo cammino A? tutto in salita. Potrebbero confermarlo le numerose difficoltA� che noi vescovi ci troviamo spesso ad affrontare. Penso anzitutto alla��impossibilitA� di formare sacerdoti turchi che garantiscano un futuro a queste Chiesa per la��impossibilitA� di aprire seminari. E se noi cristiani latini che in Turchia come Chiesa non esistiamo possiamo sopperire a questo impedimento con personale che viene dalla��estero, la cosa A? piA? grave per le Chiese etnico religiose riconosciute dallo Stato i cui vescovi e preti devono essere cittadini turchi. Ma se queste Chiese non possono aprire seminari, quale futuro le attende se non una lenta, progressiva, estinzione? Un processo che si terrA� nei prossimi mesi contro il metropolita siro ortodosso di Mor Gabriel riguarda proprio il fatto di avere tenuto nel suo monastero alcuni giovani seminaristi.
Se, come A? avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltA�, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, A? una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo A? nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in ereditA� la testimonianza del loro sangue.
Due settimane fa a Roma abbiamo avuto il primo incontro di preparazione del prossimo Sinodo delle Chiese orientali che si terrA� dal 10 al 24 ottobre 2010. Attraverso la voce dei diversi patriarchi A? stato toccante sentire quante difficoltA� i cristiani da��Egitto, della Palestina, da��Israele, della��Iran, della��Iraq, della Turchia stanno ancora sperimentando. Viviamo per buona parte in un clima di discriminazioni che sta determinando la riduzione numerica dei cristiani da questi paesi se non addirittura la loro scomparsa. A noi il Papa ha proposto come tema del Sinodo a�?Comunione e testimonianza – Erano un cuor solo ed una��anima solaa�?. In altre parole: essere uniti per essere testimoni. La scelta di questo tema non riguarda soltanto le nostre Chiese di Oriente che vivono in una situazione minoritaria e di confronto con il mondo islamico, ma si puA? applicare anche alle Chiese di Europa messe a confronto con una societA� pluralistica e dove A? anche dalla comunione dei cristiani tra di loro che deve nascere la loro testimonianza. Come A? stato osservato la Chiesa non ha una missione, non fa missione, ma A? missione. E dunque va capita da essa. Se vuole rimanere Chiesa di Cristo, deve uscire da sA�. In quanto – come dice il Concilio. Vaticano II – A? a�?sacramento universale di salvezzaa�?, essa A? ordinata al Regno, A? al suo servizio, esiste per proclamare il vangelo, e non soltanto oggi come misura da��emergenza in tempo di crisi, ma come costitutiva del suo essere. E il senso di tale impegno A? di far si che una��esperienza divenuta messaggio torni ad essere esperienza.
a�?Noi parliamo di ciA? che abbiamo visto ed uditoa�?, dichiara Giovanni (1 Gv 1,3). La missione dunque A? testimonianza resa alla��amore di GesA? Cristo e al volto di Dio da lui rivelato. Da questo punto di vista essa non ha perso nulla della sua urgenza anche se sa��impone un nuovo stile di missione meno ecclesiocentrico e meno interessato, come se Chiesa terrena e Regno di Dio coincidessero perfettamente. Si tratta di portare gli uomini a scoprire liberamente che il cammino di fede alla sequela di GesA? arricchisce la vita: va restituito al vangelo il carattere di vangelo, cioA? di notizia che dA� gioia, trasmettendo la visione che GesA? aveva del Regno, ma pronti a raccogliere anche delusioni. Non puA? essere altrimenti poichA� la fede, in quanto espressione congiunta della grazie di Dio e della libera adesione umana, non si puA? imporre ma soltanto proporre.