Febbraio
22
2012
Le tentazioni: GesA? messo alla prova
Su suggerimento del nostro Vescovo Franco Giulio, all’inizio della Quaresima proponiamo il testo (da lui stesso scritto) di una riflessione sul significato delle tentazioni di GesA? all’inizio del suo ministero pubblico.
La preghiera di GesA? nel Padre nostro, con cui GesA? fa pregare i discepoli: A�non ci indurre in tentazioneA� (Mt 6,13) ha sovente fatto problema, perchA� nella sua attuale dizione sembra alludere a una specie di determinismo, con cui la libertA� della��uomo A? messa in scacco (da Dio). Anche la nuova tradizione della CEI (2008) non A? del tutto soddisfacente (A�e non abbandonarci alla tentazioneA�), perchA� il testo contiene significati diversi. Qualcuno ha suggerito di tradurre: A�e nella prova/tentazione non ci abbandonareA�. Il senso sembra suggerire che Dio stesso a�?mette alla provaa�?, come era giA� avvenuto con Abramo (Gn 22,1), con il suo popolo (Es 16,4; 20.20; 2Cr 32,31; Sal 26,2). Tanto che negli strati della��AT, piA? vicini al NT, la tentazione viene attribuita al diavolo e/o a satana (Gb 1-2; Sap 2,24). Nella preghiera del Signore la��ultima domanda invoca che la prova sia evitata per i discepoli GesA?. E poichA� la preghiera A? insegnata da GesA?, essa puA? essere trasmessa ai discepoli proprio perchA� il Signore per primo A? passato attraverso la prova e la��ha superata.
1. Dio mette alla prova il popolo, GesA? e i suoi discepoli
A? necessario dunque ricostruirne il senso biblico, per comprendere come mai la��AT a�� soprattutto nei testi piA? antichi a�� non abbia alcun timore ad attribuire direttamente a Dio la��azione con cui la libertA� della��uomo A? sottoposta alla prova. La prova A? collegata con il comandamento e con il timore di Dio, piA? precisamente per custodire il carattere di promessa della��alleanza che Dio intrattiene con la��uomo e per dire la necessitA� che la��uomo vi aderisca con un rapporto di amore totale e senza riserve (cf Dt 13,4). Certo poi la Scrittura conosce anche il senso inverso, quando A? il popolo che a�?mette alla prova il suo Dioa�? (Es 17,2.7; Num 14,22-23). Questo A? espresso con il verbo a�?mormorarea�?, che dice la��atteggiamento con cui il popolo mette in dubbio la presenza di Dio operante nel tempo del deserto. La prova del popolo ha la forma del dubbio sulla presenza di Dio per la mancanza del pane, della��acqua, dei beni essenziali nel cammino del deserto. Questi beni vengono desiderati come beni a propria disposizione, senza che siano vissuti come dono che A? ricevuto dalla parola viva (a�?dalla boccaa�?) del Signore (Dt 8,3). CiA? genera la��incapacitA� alla��ascolto e la durezza di cuore. Nella crisi tra Dio che conduce il suo popolo fuori dal mare e il popolo che deve attraversare il deserto A�grande e spaventosoA� (Dt 8,15), alla fine la domanda di fondo A? teologale: A�Il Signore A? in mezzo a noi, sA� o no?A� (Es 17,7). Appare, allora, in tutta la sua sconvolgente durezza il fatto che GesA? stesso, il Figlio, sia messo alla prova, sia sottoposto alla tentazione. Al di lA� della differenza delle attestazioni evangeliche, resta un dato storicamente certo che GesA? abbia vissuto e condiviso la��esperienza delle tentazioni del suo popolo e perciA? abbia guidato i suoi discepoli per A�non entrare nella tentazioneA� (Lc 22,40.46), anzi a a�?pregarea�? per non essere messi alla prova. Per questo risulta strategico fermarci sul racconto delle tentazioni di GesA?. Esse non sono che la prefigurazione di quella prova che attraversa tutta la vita di GesA? e trova il suo momento ultimo e decisivo nella croce. Collocate alla��inizio del ministero in tutte le tradizioni sinottiche, le tentazioni anticipano alla��origine ciA? che A? una costante del cammino di GesA? verso la fine.
La narrazione delle tentazioni di GesA? ricorre in tutti e tre i Sinottici ed A? collocata dopo il Battesimo. Marco ha una notizia brevissima (Mc 1,12-13), ma che si pone in rapporto strettissimo con la teofania battesimale. Matteo e Luca (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) si diffondono con un racconto articolato in tre tentazioni che, pur riferite in diverso ordine e con differente intonazione teologica, presentano la tentazione del pane, del miracolo, della potenza. Al di lA� del racconto delle tentazioni, il tema ricorre in altri luoghi decisivi per il dipanarsi della missione di GesA?. Certamente possono essere individuate come a�?tentazionia�? le parole di Pietro dopo la confessione di Cesarea (Mc 8,31-33; Mt 16-21-23), il Getsemani (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46), e la sfida davanti alla croce (Mc 15,29-32; Mt 27,39-44; Lc 23,35b-39). GesA? A? presentato come il A�Messia tentatoA�: A? questa una��espeA�rienza insolita che passa come una spada affilata nella coscienza della comunitA� dei primi credenti, cosA� come risuona sconvolgente agli orecchi dei primi cristiani la formula A�il Messia A? morto per noi!A�. Le tentazioni di GesA? sono, dunque, tentazioni A�messianiA�cheA�, cioA? riguardano il modo con cui GesA? ha compreso la sua missione, la qualitA� specifica del suo a�?messianismoa�?, meglio della sua singolare relazione a Dio. Per questo gli evangelisti collocano la tentazione di GesA? dopo il battesimo (anche se Lc inserisce tra i due la genealogia): nel battesimo e nella teofania al Giordano GesA?, il A�Figlio amatissimoA� (cfA� Gn 22,2), accoglie e sceglie di vivere il suo essere Messia (A�Tu sei mio figlioA�: Sal 2,7) secondo lo stile del servo sofferente (Is 42,1). Egli si mette in fila tra i peccatori e porta il loro peccato. La voce dal cielo, uno stupendo mosaico di riferimenti alla��AT, A? la rivelazione del Padre che anticipa e attua (con la discesa/dimora dello Spirito) fin dalla��inizio il senso della missione di GesA?. GesA? A? il Messia davidico, in modo singolare come il Figlio unico e amato, ma secondo la figura del servo sofferente.
Per questo la tradizione sinottica vede nelle tentazioni (con la sola differenza di Luca che interpone la genealogia, ma collega poi le tentazioni al battesimo con un a�?ritorno al Giordanoa�?, 4,1) la��altra faccia della scelta/decisione/vocaA�zione di GesA?, con cui egli ha compreso la sua missione filiale secondo la figura di un messianismo umile e sofferente (battesimo), e ha superato la prova di immaninare la sua missione in modo potente e sbaragliante (tentazione). Il motivo A? che nel battesimo e nella tentazione la vicenda di GesA? assume il cammino della libertA� umana che deve essere ricostruita, salvata, ricuperata dal di dentro. Lo stile umile e sofferente della sua missione trova nel gesto del battesimo di Giovanni il suo momento fondatore, il tempo in cui GesA? sceglie la forma di servo per il ministero. La sequenza narrativa 1) predicazione di Giovanni Battista, 2) battesimo di GesA? e 3) tentazioni nel deserto segue una logica che ripercorre la��esperienza della��esodo e del ritorno dalla��esilio. Dal punto di vista del racconto questa sequenza riceve una diversa coloratura nei tre evangelisti sinottici, ma resta confermato il carattere di compimento della vicenda di GesA? in rapporto al suo popolo e di prefigurazione in relazione al seguito della sua missione e di quella dei discepoli. Il risultato della��analisi redazionale risulta cosA� fruibile anche in prospettiva narrativa. Sintetizza cosA� Dupont: A�In Mt, il racconto delle tentazioni guarda verso il passato di Israele, per mostrare come gli avvenimenti della��esodo sono stati vissuti in modo nuovo e hanno ricevuto compimento nella persona del Cristo, mentre il racconto di Luca A? orientato verso la��avvenire, verso gli avvenimenti della Pasqua, che hanno in veritA� fondato la nuova economia e compiuto la��opera della nostra salvezzaA�. La breve notizia di Marco custodisce forse la tradizione piA? antica della��esperienza drammatica con cui ha avuto inizio il ministero di GesA?. In due versetti A? ricordata la��esperienza incandescente della a�?vocazionea�? di GesA?: la sua a�?chiamataa�? ad essere il Figlio nella forma servi, con cui GesA? dispone di sA� mettendo in gioco se stesso nella prova che deve superare le attese giudaiche di un Messia potente e la a�?suaa�? stessa tentazione a�� mistero insondabile a�� di essere il Figlio subito nella forma gloriosa. La tentazione di GesA?, dunque, si colloca fra tre poli: la ripresa della��esperienza esodica della tentazione del popolo (prospettiva matteana); la��anticipo della tentazione decisiva della passione (prospettiva lucana); e la custodia del roveto ardente della vocazione orginaria di GesA?, nella sequenza battesimo/tentazioni (redazione marciana) [2]. Tre evangelisti, tre prospettive che anticipano in forma narrativa la tentazione suprema della croce di GesA?.
2. GesA? e il roveto ardente della vocazione originaria (Marco)
La breve e folgorante notizia delle tentazioni nel vangelo di Marco ha sempre proposto un quesito agli interpreti: si tratta di una��altra tradizione, che non contempla le a�?trea�? tentazioni, come invece sono presenti nella fonte Q, cioA? la fonte dei a�?dettia�? a cui si riferiscono Matteo e Luca? Oppure Marco si limita a una breve notizia pur gravida di densi significati, come A? nello stile del suo Vangelo? La��esegesi recente riconosce nei tre sinottici un comune sostrato nella prova del popolo al deserto, e quindi parla di una��unica tradizione delle tentazioni con due redazioni, una molto breve ed essenziale in Marco, la��altra, trasmessa in Matteo e Luca, declinata nelle tre tentazioni che assumono le classiche prove del deserto. Anzi Marco ci farebbe accedere, pur attraverso il filtro della sua teologia, alla vocazione originaria di GesA? alla��inizio del suo ministero. Nella sequenza di battesimo e tentazione, GesA? dispone di sA� nel dare inizio al suo ministero nella forma servi. Sarebbe possibile cosA� accostarsi al roveto ardente della a�?vocazionea�? di GesA?, attestata in modo sorprendente nella��inno di Fil 2, 6-7: A�Cristo GesA? che, essendo [e rimanendo, participio presente] nella forma Dei, non considerA? un tesoro geloso la��essere come Dio, ma svuoto se stesso, prendendo [participio aoristo] la forma serviA�. La��intrecA�cio di battesimo e tentazione esprime narrativamente quanto A? icasticamente detto nella stupenda formula della��inno paolino. La versione marciana A? quella che ci fa accedere, nella sua sconvolgente brevitA�, alla scena originaria della vocazione di GesA?.
Dopo il titolo/inizio del Vangelo, in cui il protagonista viene presentato come a�?Figlio di Dioa�? (1,1) la prima scena A? articolata nel dittico di battesimo/teofania (1,9-11) e di tentazione (1,12-13) sullo sfondo della��attivitA� di predicatore e battezzatore di Giovanni (1,2-8). Il montaggio narrativo A? perfetto e, mediante la��espressione a�?subitoa�? (Mc 1,10.12), Marco collega i due episodi di teofania e tentazioni. La voce dal cielo (del Padre) rivela a GesA? (che a�?subitoa�?, uscendo dalA�la��acqua, a�?vede i cieli apertia�?), mediante la discesa dello Spirito, la suaA� identitA� di Figlio unico, amatissimo, che A? a�?chiamatoa�? a vivere nella forma servi. E a�?subitoa�? dopo, il medesimo Spirito lo a�?sospingea�? nel deserto, tempo (vi rimase quaranta giorni) e luogo della tentazione (tentato da satana). La connessione stretta di rivelazione della��alto e tentazione nel tempo del deserto, custodiscono il roveto ardente della vocazione originaria di GesA?. Potremmo forse dire che alla dimensione verticale della voce/rivelazione corrisponde la dimensione orizzontale dello spazio/tempo del deserto, dove quella voce viene macerata e maturata nel modo con cui il a�?Figlio amatissimoa�? dispone di sA� nella forma del servo. Mistero insondabile della a�?vocazione originariaa�? di GesA?, che dA� veramente a�?inizioa�? al a�?vangelo di GesA? Cristo, Figlio di Dioa�? (Mc 1,1). E dovremmo forse aggiungere che questa a�?esperienza originariaa�? A? possibile in quanto ca��A? lo Spirito che a�?scendea�? su GesA? nelA�la��acqua e che a�?spingea�? GesA? nel deserto, configurando questa come una��esperienza a�?spiritualea�?. Lo Spirito che manifesta la��identitA� filiale A? lo stesso che lo spinge per metterla alla prova nello spazio/tempo del deserto.
La notizia di Marco declina la drammatica di questa identitA� filiale che A? data nella prova del cammino del deserto: la��identitA� di GesA?, come per ogni uomo, avviene nel tempo disteso. Osserviamo la struttura del v. 13:
[A]A� Egli era nel deserto, per quaranta giorni, A�A�A�A�A�A�A�A� [B]A� essendo tentato da Satana,
[Aa��] ed A�A�era con le bestie selvaticheA�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A� A�A�A�A�A�A�A�A�A� [Ba��] e gli angeli lo servivano
La��attraversamento del deserto, precisato in A-Aa�� nei suoi elementi costitutivi, di luogo, di tempo (quaranta giorni) e di compagnia (era con le bestie selvatiche) descrivono il cammino di GesA? sulla falsariga della Genesi, di un nuovo inizio, dove la��armonia rotta della��uomo con il mondo animale A? ritrovata da GesA?, quasi nuovo Adamo che dA� avvio alla ri-creazione della��umanitA�, al tempo messianico della salvezza. Questa rinnovata condizione paradisiaca, nel giudaismo, era immaginata con il servizio degli angeli, come dice questo testo del Testamento dei XII Patriarchi: A�Gli uomini e gli angeli vi benedirannoa��, il diavolo fuggirA� lontano da voi, le bestie selvagge vi temeranno, il Signore vi amerA� e gli angeli si avvicineranno a voiA� (Test. Neph. 8,4). Il servizio degli angeli A? alternativo alla signoria di satana. Tuttavia, questi elementi genesiaci trovano maggiore evidenza se sono riportati al tema centrale del deserto, luogo della prova, secondo il testo sopra ricordato di Dt 8,2: la��identitA� filiale di GesA?, fin dalla��inizio, anzi proprio alla��origine, si A? sottoposta alla prova con cui Dio (in Mc satana) mette il suo popolo nella condizione di camminare nella promessa. Proprio in quel capitolo del Deuteronomio si dice: Dio A�ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senza��acqua; ha fatto sgorgare per te la��acqua dalla roccia durissima; nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenireA� (8,15-16). E la manna, giA� ricordata in Dt 8,3, A? poi discritta in Sap 16,20 come A�il nutrimento degli angeli che tu hai donato al tuo popoloA�. Lo stesso verbo a�?servirea�? accentua il nesso tra Mc 1,13 e Dt 8,3, perchA� in Mc stesso il verbo indica il servizio alla mensa. Si comprende, in conclusione, perchA� la tentazione di GesA?, anche in Marco, si riferisca alla��esperienza esodica, ripresa nel suo significato di messa alla prova. Questa A? la tentazione. Essa riguarda la��identitA� filiale di GesA?, che A? sottoposta alla prova del pane, del tempo e della��obbedienza alla promessa del Padre: la voce che indica al Figlio la sua chiamata da vivere nella carne. Marco sembra, dunque, custodire il roveto ardente della vocazione originaria di GesA?.
tratto da Esercizi di cristianesimo, Brambilla F.G., Vita e Pensiero, 2000